Marco Archetti, La luce naturale edito Mondadori
In una stanza d’albergo sul litorale veneto, Elvira ha un malore e i medici le danno poche ore di vita. I figli Tiziana, Gabriele e Flavio, chiamati al capezzale, sembrano pendere più dai destini incerti delle loro vite che dal lutto che si approssima: Flavio, un attore che non ha sfondato, è assetato di rivincita, e Gabriele non fa che collezionare fallimenti amorosi e finanziari. E Tiziana? Tiziana, insoddisfatta, coltiva fantasie di sesso e di fughe, tornando puntualmente davanti allo specchio indifferente del marito e della figlia. Elvira giace immobile nel limbo della sua stanza d’hotel e i tre fratelli si focalizzano sull’eredità, che ognuno ha intenzione di reclamare per sé nel tentativo di sfuggire alla propria miseria esistenziale. Così la morte – quella morte – comincia a sembrare una farsa. I fratelli fingono, fingono di fingere, si accusano a vicenda di aver alleggerito il conto in banca della madre e fanno della famiglia il più triste degli spettacoli. E più si sbranano e si spogliano del costume di menzogne che portano addosso, più affiorano fatuità e umane debolezze. Come sbrogliare i nodi di vite dove il futuro somiglia al presente e il presente ha rinunciato al passato? Marco Archetti gioca come un gatto con il topo, spingendo ciascun carattere all’angolo dove confessarsi è d’obbligo e aprire gli occhi è cruciale. E fa, di un teatro di ipocrisie, malignità e rapporti di potere, una storia di caotiche convergenze affettive, ma anche di amore che ha bisogno di un’altra luce, una luce più grande.
… Inutile perché la verità su noi stessi ci corre dietro e poi ci acciuffa, è un serial killer ben allenato, ha più gambe più fiato più tutto, non ci dà scampo e ci strappa il bicchiere proprio mentre stiamo per berci l’ennesima stronzata autoprodotta.
I fratelli Calore sono diversi e uniti. Dal caso, la vita, la madre. Attori sullo stesso palcoscenico per cui il sipario si apre e chiude senza preavviso. Puntando a volte i riflettori su debolezze, mancanze, brutture. La penna di M. Archetti è come un bisturi che incide con attenzione certosina per evitare troppo sanguinamento o dolore. Solo il segno deve essere tangibile come il disagio, l’insoddisfazione, la condizione umana.
Tutti e tre portano scritta in faccia la stessa storia, che dice: la vita non ha pietà. La catastrofe è imminente e loro non lo sanno, ognuno assorto nei propri sospesi con la vita, ognuno convinto di essere dalla parte giusta. Ma non ci sono parti giuste. Ci sono solo tre fratelli fermi davanti alla porta della 236. E piccoli uomini, e donne infelici, e le stupide ragioni degli altri.
Lo spettacolo deve continuare oltre tutto e tutti verso l’inevitabile chiusura. Che stenta ad arrivare tra ritardi e ripensamenti. Passato e presente si intrecciano ed hanno un gusto dolce ed a amaro. Gli attori attendono sull’ orlo del baratro che non li inghiotte o allontana.
…E quando tutto tornerà come prima, tornerà la tristezza con cui ha nutrito e condannato la nostra vita…
La rinascita come nuovo inizio verso un finale sorprendentemente. Un romanzo dal ritmo cadenzato, piacevolmente realista ed intimo. Uno specchio personale e sociale in cui riflettersi forze per ritrovarsi.