Buon venerdi readers, eccoci nuovamente con la nostra rubrica settimanale, 7 blog per un autore. Un blogtour realizzato in collaborazione con altri sei blog, nato da un’idea di Federica di Gli occhi del lupo.

Sette blog per presentare un libro, attraverso parole ed immagini selezionate e create dall’autore. Sette giorni in cui attraverso tematiche e giorni prestabiliti lo scrittore può condividere con i lettori il suo lavoro e passione.

Come sempre la nostra tappa è dedicata al messaggio che l’autore vuole lasciare con il suo romanzo racchiuso in una immagine.

🌈Blog che vi partecipano:

LUNEDÌ – Tutto sul romanzo – IO AMO I LIBRI E LE SERIE TV

MARTEDÌ – Ambientazione – IN COMPAGNIA DI UNA PENNA

MERCOLEDÌ – Cast Dream – TRE GATTE TRA I LIBRI

GIOVEDÌ – Un messaggio da scoprire – ANIMA DI CARTA

VENERDÌ – Un’immagine che racconta – LIBERA_MENTE

SABATO – Intervista all’autore – VENTO DI LIBRI

DOMENICA – Intervista al personaggio – GLI OCCHI DEL LUPO

💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟💟

Ospitiamo l’autrice, Susanna Trippa.

Il libro di cui trattiamo questa settimana è Come cambia lo sguardo. Gli inganni del Sessantotto di Susanna Trippa.

SINOSSI:
«Il corpo principale del libro “Come cambia lo sguardo” è la narrazione dei miei primi trent’anni di vita. E io chi sono? Una persona già nota al pubblico? Con una certa visibilità? No. Sono una persona qualsiasi, una donna in questo caso, che si è trovata a rievocare, con spontaneità e gioia della memoria, momenti della propria vita e intanto, nello scrivere, si accorgeva che questi coincidevano con passaggi epocali soggetti a forti cambiamenti di sguardo. Dai primi anni Cinquanta – quasi un dopoguerra – quand’ancora a Bologna, negli inverni freddi, sentivo odore di frittelle impastate con farina di castagne e cotte per strada, le “mistocchine”, fino ad arrivare al marzo del ’77 ― Radio Alice e gli Anni di piombo come una nube scura… infine l’approdo a Bergamo e all’età adulta. In mezzo, riaprendo i cassettini della memoria, stanno l’ubriacatura del miracolo economico, il Sessantotto e quanto poi ne derivò. Un percorso di vita in quegli anni, da bambina a donna, in cui cambia lo sguardo».

💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜

7 blog per un autore, blogtour realizzato in collaborazione con altri sei blog, da un’idea di Federica di Gli occhi del lupo. Come sempre la nostra tappa è dedicata al messaggio che l’autore vuole lasciare con il suo romanzo racchiuso in una immagine.

💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜

Un’immagine che racconta
UN IMMAGINE CHE RACCONTA
Proponici una o più immagini rappresentative del tuo romanzo spiegandone la scelta.

1955  La nonna Pasquina era contenta di poco e quasi sempre sorrideva

“Delle volte – ma poche, perché allora ero molto mammona – an davo a dormire a casa della nonna e delle zie. Nell’unica camera dove dormivano tutt’e tre insieme, mi mettevano nel lettone tra la zia Amedea e la nonna Pasquina. La nonna odorava di sapone e dormiva con la sottoveste bianca di cotone con dei bei ricamini sul petto. Io mi giravo dalla sua parte e le chiedevo una storia. Lei mi raccontava quella delle pecore che, a una a una, dovevano passare sul ponte. Era sem pre quella e non era tanto divertente; però era come un rituale e a me piaceva guardare la nonna, con quella sua faccia buona, addormentarsi prima di me. La nonna Pasquina era sempre allegra e si accontentava di quello che aveva. Mi faceva le patatine fritte con il ramerino e le tagliatelle dolci. Ricordo la stufa economica con il contenitore oblungo dove bolliva l’acqua, i cerchi di ghisa che la nonna spostava uno alla volta con la lunga pinza, e certi pezzetti di sfoglia che metteva ad abbrustolire sopra. Ricordo anche la scatola di latta del lievito Bertolini: il mani chetto di ferro sul coperchio e tutti quei bei riquadri colorati, con disegni e scritte, a comporre il racconto di una bella conta dinella tra oche e galline. Se era un giorno «da lavoro», andavo con lei al negozio VeGé a fare la spesa, che la nonna faceva tutti i giorni perché non aveva il frigorifero. La nonna era una donna d’altri tempi, di quelle che avevano pas sato due guerre mondiali e tante notti negli ospedali d’allora, ac canto al letto di questo o quel parente con il colera o la spagnola. Non capivo quando, da bambina, m’insegnavano a pelare le patate e lei indicava alla mamma che toglievo troppa polpa fa rinosa sotto la buccia. Veniva da una vita ben diversa da quella che avevo io! Però, in quei momenti, le faceva poco caso anche la mamma, che non aveva mai voluto parlare in dialetto e rifiu tava ogni segno di ristrettezza. Dicono che ognuno di noi sia anche il nome che gli hanno dato quand’è nato; che questo nome fa proprio parte della nostra personalità, se poi l’abbiamo accettato. Allora credo che quel nome della nonna – Pasqua… Pasquina – abbia contribuito a fare di lei quello che era. «Contento come una Pasqua!», si dice. Così era per la nonna. Era contenta di poco e quasi sempre sorrideva. Era la prima a venirti incontro e ad abbracciarti; appena arrivavi da lei, ti riempiva di caramelle e biscotti; e si chinava fino a terra ad accarezzare ogni cagnolino che incontrava. Io, ch’ero stata una bambina dalle tante complicazioni, avevo scambiato la sua saggezza per qualcosa di troppo semplice, e così m’era sfuggita.”

1975 Mi sentivo nel solco di una liberazione personale e storica
“Avignon… le Palais des Papes e il suo festival nelle strade. Venezia, e poi Roma. Nella notte di vento, che entrava dai fine strini, il ritorno in treno cantando a squarciagola e mischiando con innocenza Addio Lugano e Piange il telefono di Modugno. Il Palazzo di San Giacomo abbandonato nella campagna… le braci che si spegnevano nel camino. Il glicine che si avvolgeva sulla rete nei dintorni dei giardini Saragozza, un pomeriggio quasi d’estate. In una notte calda in via D’Azeglio, a Bologna, gli Inti Illimani mescolavano canti di lotta e flauto andino, mentre anche i Beatles riconquistavano un posto d’onore nel mio universo musicale. Mi sentivo nel solco di una liberazione personale e storica. Ed era bellissimo viverla… crescere. E anche avere l’illusione che sarei cresciuta del tutto. E che per sempre sarebbe stato così! Dopo sarebbero ritornati i demoni, ma per il momento se ne stavano lontani. C’incantavano i giochi di carta di Arp, leggevamo gli autori del la Beat generation: Kerouac, Ginsberg. E poi il meraviglioso… struggente Tristi tropici di Lévi Strauss. Anche a noi pareva di volare nel vuoto con il don Juan di Castaneda. Sottili libriccini rosso neri ci parlavano di un’utopica e per sempre felice società anarchica. Mi facevo un punto d’onore di ripudiare tutto quanto potesse essere in odore di borghesia, di conformismo, non rendendomi conto però che quello che si getta dalla porta a volte fa capolino dalla finestra. Miravo a un ideale autarchico – adesso lo si chiamerebbe mi nimalista – e così, i pochi vestiti che possedevo li avevo presi usati in Piazzola; ricucivo da me collant ed espadrillas che poi esibivo con l’orgoglio di un vecchio soldato che sventoli alta la sua bandiera, a pezzi ma gloriosa. Si rifiutava ogni orpello, s’infilavano perline colorate e pasta seccata per farne collane e orecchini. Si voleva fare tutto da noi.”

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: